«L’aspetto più tipico della sindrome premestruale e della sua forma più severa, ovvero il disturbo disforico della fase premestruale, è la stretta relazione tra l’insorgenza dei sintomi e la ciclicità mestruale — spiega Rossella Nappi, responsabile dell’Ambulatorio di endocrinologia ginecologica e della menopausa presso l’Irccs Fondazione San Matteo, Università degli Studi di Pavia —. Sicuramente giocano un ruolo le fluttuazioni cicliche degli ormoni steroidei prodotti dalle ovaie. Anche se non sono state evidenziate alterazioni della quantità di questi ormoni, è possibile che alcune donne, per i più diversi motivi, siano più sensibili alla diminuzione dei livelli di estrogenie, soprattutto di progesterone, tipica della fase premestruale. Il progesterone è un ormone neuroattivo, in grado di modulare il sistema nervoso centrale attraverso i suoi metaboliti, influenzando così la produzione di diversi neurotrasmettitori tra cui il Gaba, che regola stress, ansia, allerta, e la serotonina, che modula l’umore. In caso di gravidanza il progesterone serve per aiutare l’utero ad accogliere e proteggere l’embrione, ma se ciò non accade, i suoi livelli calano e l’organismo femminile si deve adattare al nuovo assetto. Nelle donne che soffrono della sindrome questo adattamento è più difficoltoso o fallisce con la conseguente comparsa di sintomi più o meno rilevanti, che possono peggiorare con l’andare dell’età o dopo la gravidanza».
«La sindrome si presenta con connotazioni diverse di sintomi fisici, comportamentali e psicologici. I disturbi compaiono di solito negli ultimi 5-7 giorni prima delle mestruazioni e hanno ripercussioni sulla qualità di vita, talora pesanti. Per diagnosticarla non esistono esami specifici, ma occorre prestare attenzione alla storia medica e anche psichiatrica della paziente, oltre che ai sintomi spia che devono comparire per almeno due cicli consecutivi, solo nella fase premestruale. Molto utile a questo scopo l’abitudine di tenere un diario personale per annotarli. Nelle forme più severe si raccomanda anche una valutazione psichiatrica per escludere che alcuni sintomi psicologici siano in realtà da attribuire a disturbi dell’umore preesistenti e di altra natura».
«Non c’è un “rimedio” valido per tutte le donne. Nelle forme lievi spesso sono sufficienti accorgimenti dietetici e nello stile di vita, eventualmente associati all’assunzione di vitamina B6, calcio o magnesio oppure a erbe medicinali come l’agnocasto che agisce sul dolore mammario e facilita l’adattamento allo stress o l’iperico che ha un effetto positivo sul tono dell’umore. In alcuni casi si può intervenire mettendo a riposo l’attività ovarica, ricorrere ad antidepressivi a basso disaggio oppure a farmaci diuretici».
Sono diversi i fattori che possono rendere una donna più suscettibile a sviluppare la sindrome. Tra questo rientrano la familiarità, precedenti disturbi d’ansia o depressione (talvolta associati a eventi traumatici, abusi, violenza domestica, ecc.), sovrappeso, vita sedentaria, fumo, elevato consumo di caffè, nonché carenza di alcuni micronutrienti (vitamina B6, calcio e magnesio).
Nelle donne che soffrono di sindrome premestruale vi è un’alterata sensibilità alle fluttuazioni ormonali tipiche dell’età fertile. È questo il motivo per l’utilizzo delle terapie ormonali. Tra quelle che possono dare benefici rientrano i contraccettivi ormonali combinati che agiscono sopprimendo l’ovulazione e quindi le fluttuazioni ormonali. Le pillole anticoncezionali più indicate sono quelle contenenti drospirenone, un progestinico con caratteristiche molto simili a progesterone naturale. In alternativa si può ricorrere al danazolo, che però può avere fastidiosi effetti collaterali ed è poco usato, o agli agonisti del GnRH, che richiedono l’associazione di un altro farmaco (tibolone) per limitare gli effetti collaterali simil-menopausali sull’osso (osteoporosi).